mercoledì 28 luglio 2010
Ad occhi chiusi
Il mondo che vediamo è un mondo che non si può vedere. Ovunque si rivolga lo sguardo un imperante malcostume globalizzato, che avvilisce ogni predisposizione di civile convivenza, è ormai esploso in tutta la sua drammatica evidenza. I sistemi mediatici, rivolti costantemente alla spettacolarizzazione di primordiali comportamenti sociali che certificano l’appartenenza umana al regno animale, da una parte sfruttano commercialmente ogni penosa peculiarità antropologica e dall’altra influenzano e sollecitano ogni individuo ad uniformarsi alle richieste di consumismo occulto che ci vengono propinate da presunte ragioni di mercato. In tutto questo il dibattito presuntuosamente politico rappresenta perfettamente ogni anacronismo e paradosso che l’odierna civiltà, fondata solamente sull’egocentrismo più futile e inconcludente, vuole farci vedere come unico scopo universale. Cosicché non c’è da stupirsi se anche i ruoli istituzionali siano in preda ad un frenetico e avido bisogno di accaparrarsi ogni prodotto materialistico che certifichi l’utilità di qualsiasi mezzo utilizzato per raggiungere fini esclusivamente personali. Guardando la verità che noi stessi produciamo facciamo volentieri finta di scandalizzarci a qualunque notizia di inciviltà, corruzione, violenza e meschinità di ogni genere che, in fondo, raffigura perfettamente la società che abbiamo contribuito a sviluppare, per modo di dire. Tutto ciò in cui abbiamo convenientemente creduto oggi troneggia in bell’evidenza sullo specchio delle nostre innumerevoli e precise colpe. Eppure riusciamo ancora a guardarci in faccia e a simulare che l’immagine che riflettiamo sia quanto di più bello ed onesto siamo in grado di produrre. Ma i mass-media, non paghi, continuano inesorabilmente a mostrarci una realtà fittizia che ha nel suo unico intento quello di chiuderci definitivamente gli occhi e le coscienze e consentirci così di scaricare responsabilità che non abbiamo nessuna intenzione di assumerci. Tuttavia basterebbe guardarci intorno per renderci conto che la barbarie che vediamo negli altri è la stessa che manifestiamo anche noi appena l’occasione giusta ci dà l’impressione di essere conveniente. Con occhi spalancati e indifferenti sui peccati altrui, non vediamo l’ora di scagliarci contro la putrefazione che quotidianamente mortifica le nostre invidiose speranze economiche. Saremmo disposti anche a rispolverare antiche dottrine e la sempre comoda pena di morte nei confronti di quanti si sono macchiati, ben volentieri, dell’unico crimine che non saremo mai pronti a perdonare, salvo quei giustificati casi personali che non potevamo proprio evitare. Perché la corruzione e concussione degli altri, è frutto di un avida ed egoistica inciviltà priva di qualsivoglia alibi, mentre per l’avvocato difensore della nostra decomposta coscienza noi non abbiamo colpe e siamo soltanto vittime di un sistema che abbiamo trovato e non voluto e i nostri sbagli, sono solo il prodotto estremo della nostra immacolata sopravvivenza. La nostra indignazione violenta si scaglia contro tutti e nessuno impedendoci di ragionare ed agire correttamente, e il nervosismo che aleggia nei nostri cuori rischia perfino di non farci prendere sonno. Ma a questo punto è sera ed abbiamo già consumato una lauta cena che, forse, non ci siamo guadagnati onestamente; davanti a noi la televisione che blatera ripetitiva dell’ennesimo scandalo di tangenti e tangentisti stimola il nostro immeritato riposo. E’ tardi e il pensiero di tutti quei soldi che girano sempre nelle stesse mani, funge ottimamente da sonnifero e ci fa velocemente dimenticare chi siamo. Nel nostro torpore perenne, ogni sera, ci ripromettiamo ipocritamente di guardare verso quel’onestà sempre più utopistica, ed è così che lentamente, cullati dalla ninna nanna dei nostri futuri averi, chiudiamo per l’ennesima volta i nostri occhi ed andiamo a dormire. E buonanotte ai sognatori insonni.
Maurizio Mura
martedì 16 marzo 2010
Adesso Basta!
Basta! Non ne possiamo più! Non si può continuare a sopportare questo insistente e fastidioso monopolio mediatico che invade ogni settore sociale e che ci costringe ad inutili elucubrazioni su chi sia il male minore tra il Partito (forse) Democratico e il Partito (forse) delle Libertà. Dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che la strategia delle maggiori forze politiche, Pd Pdl appunto, si basa sostanzialmente nel prendere posizioni pro o contro Silvio Berlusconi. Dopo trent’anni di esposizione pubblicitaria dell’odierno Presidente del Consiglio, Presidente del Pdl, Presidente di Mediaset, Presidente di Mediolanum, Presidente di Pubblitalia, Presidente del Milan, Presidente di Medusa, Presidente di Mediatrade, e futuro e onnisciente Presidente interstellare galattico, nessuno può dirsi all’oscuro di quali siano i suoi pochi meriti, ammesso che ce ne siano, e di quali siano le sue innumerevoli colpe, ammesso che ce ne siano. Quindi, considerando che questo innominabile individuo esiste, e dando per assodata la sua partecipazione alla gara politica, sarebbe ora di dare spazio e rilevanza alle idee delle rimanenti minoranze politiche, ammesso che ne abbiano. Certo, capita a volte che la voce dell’emarginazione politica cerchi di farsi sentire, ma anche loro, ormai trascinati dal vortice egoistico e capitalista dei loro esclusivi interessi, si fanno convogliare sempre più volentieri in un pensiero unidirezionale volto a denigrare costantemente e altrettanto inutilmente colui che di denigrazioni ne ha già collezionate a sufficienza. La realtà che ci schiaffeggia ogni giorno con maggior violenza è che in Italia è in atto un piano sovversivo, prossimo alla conclusione, per dirigere il pensiero della cittadinanza, ammesso che ne abbia uno, verso l’oblio antisociale dei singoli guadagni rappresentati più che degnamente dai personaggi dei maggiori partiti italiani. La battaglia a cui assistiamo di continuo ha come unico obiettivo la spartizione sistematica del potere economico e dei profitti che da esso ne derivano. Le armi che le due superpotenze, un tempo politiche, utilizzano per arrivare ai loro beceri scopi sono quanto di più inquietante e terroristico l’epoca moderna metta a loro disposizione: l’informazione strumentale. Nessuna idea, nessuna ideologia, nessuna sostanza, nessuna opportunità, ma solo un cieco appartenere, anima, corpo e pensiero, a delle vuote parole pronunciate da questi scaltri individui, innalzati a re, che utilizzano il potere che gli abbiamo conferito contro di noi e fare così in modo che possano raggiungere i loro unici traguardi: dividerci e dirigerci. D’altronde il loro motto è ormai conosciuto a memoria dalla maggioranza della popolazione e le apparenti chiare scelte che ci offrono sono di essere, di volta in volta, controllati da dei dittatori controllori che non vogliono essere controllati. Così, sapientemente, in piena enfasi antipolitica, schierano le loro forze informative contro il libero pensiero per farci succubi e servili vassalli pronti a convincersi che il loro concetto sia anche il nostro. La loro tattica è fetidamente nota: siamo o pesanti gonadi influenzati dalla stampa persecutoria diretta dal Partito Democratico, o inutili glandi influenzati dalle manipolatrici televisioni di proprietà del Partito delle Libertà. Ed è per questo che non si fa altro che parlare di pettegolezzi degli esseri preposti a parlare di politica e che di politica non sanno parlare, perché il controllo vero e proprio, ormai prossimo governarci per bene, si ottiene solo quando l’appiattimento dei pensieri sarà completo. Quando saremo tutti pro o contro l’Innominato “nostro” Primo Ministro, e figuriamoci dal secondo in giù, saremo pronti per essere portati al pascolo delle libertà che anno scelto per noi e per il nostro bene. Ma molti stanno già dicendo bastaaa!!! Non ne possiamo più! Vogliamo sentir parlare di politica, di accettazione delle diversità, di economia sociale e sostenuta, di poche, maledette ed immediate regole rispettate da tutti, di strategie di sviluppo imprenditoriali, di adeguamenti salariali e sociali, di annullamento di ogni inequità e di meritativismo garantito e di migliaia di altre esigenze che ogni politico che si rispetti porta sempre nel suo bagaglio culturale e che, come ogni bravo rappresentante, è sempre pronto a mostrare a tutti la validità del suo campionario. Diciamo basta a tutti gli odierni venditori di fumo che tentano di offuscarci le menti con materialistiche chimere che stanno impossessandosi di noi. Basta! Bastaa!! Bastaaa!!! Non siete gli uomini che vogliamo! Non ne possiamo più! Delle vostre parole, delle vostre pubblicità, delle vostre astuzie, dei vostri guadagni e dei vostri traguardi. Non ne possiamo più! Perché, prendendo spunto da una frase di Musa Al-Sadr, importante e scomparso esponente politico e religioso, Dovremmo seguire i principi, non le persone. E dobbiamo aggrapparci a richieste, programmi e obiettivi, non agli individui. Dovremmo aggrapparci al nostro giusto cammino, non alle linee politiche.
Questo è proprio il momento di dire basta!
Maurizio Mura
giovedì 11 febbraio 2010
Ma io no!
“… e mica è colpa mia!! Che facessero i parcheggi come Cristo comanda e io la macchina in doppia fila non la metto più! Perché tanto qui rubano tutti e a me non me ne frega proprio niente di fare la raccolta differenziata. Che c’entro io con la fame nel mondo? I cassonetti fanno schifo, le strade sono tutte una discarica e i marciapiedi sono pieni di escrementi. E io dovrei pagare le tasse per mantenere questi papponi che non fanno un bel nulla? Io no, non ci penso affatto. Se non pago le multe è perché non le ritengo giuste, le contesto, ma senza fare ricorso, che di regalare altri soldi a questi parassiti non ne ho nessuna intenzione. Questi ladri se ne stanno lì comodi comodi nei loro uffici della malora a chiacchierare e a bere caffè e poi si permettono pure di lamentarsi che sono stanchi e stressati dal lavoro. Ma perché, qualcuno li ha mai visti lavorare? Io no, anzi, l’unica cosa che vedo in continuazioni sono gli scioperi di questi nullafacenti che guarda caso coincidono sempre o con il venerdì o con il lunedì. E certo, poverini, se proprio devono manifestare le loro rivendicazioni sociali che almeno abbiano il fine settimana allungato, altrimenti si stancano. Ma io no, non mi stanco di lamentarmi per questo malcostume che va solo a danno degli onesti cittadini. E se qualche volta ho rubato qualcosa l’ho fatto solo per necessità. Ma tanto non importa a nessuno se non funziona niente in questo mondo, comunque a loro il posto fisso non lo tocca nessuno. Intanto vorrei proprio sapere come hanno fatto a conseguire il titolo di studio, questi probi cittadini, ma più che altro, vorrei sapere quanto hanno pagato e, specialmente, chi li ha raccomandati per essere assunti. Ma io no, io non partecipo ai concorsi che potrebbero darmi un lavoro sicuro, io ho sempre lavorato in nero, quando ne avevo voglia, ché tanto con la pensione che ti danno non ci paghi neanche il canone della televisione. Io? Io no! Non ho nessuna intenzione di pagare per mantenere nel lusso questi vanagloriosi personaggi che parlano, parlano e non sono capaci di fare niente. E poi non c’è mai nulla di interessante in televisione, a parte il calcio, naturalmente. E per fortuna che io vado allo stadio grazie ad un mio caro amico che mi fa entrare senza pagare il biglietto, perché se fosse per me li manderei tutti a lavorare in miniera, altro che fare i milioni sulle mie spalle. Che poi ci si lamenta che la politica non è vicina alla popolazione. Meglio, dico io, perché conoscendo la società in cui vivo non ho alcun dubbio sul fatto che sia proprio la vicinanza tra i rappresentanti del popolo e il popolo stesso che crea infinite schiere di corrotti e corruttori. Ma io no! Non mi lascio corrompere da questo sistema partitocratico che da qualcosa a chi ha qualcosa da dare e non fa nulla per chi non gli da nulla. Sono tutti bravi a chiedere ai potenti i loro favori e poi fanno finta di non sapere che dovranno necessariamente ricambiare la cortesia. Ma io no! Non c’è mai stato nessuno che mi sia venuto a proporre uno scambio equo e gli onesti conoscenti che frequento cercano solo di spremermi per arrivare a sfruttare le mie raccomandazioni e le mie amicizie. Ma io no! Non riesco a capire perché proprio io devo mantenere una moltitudine infinita di lavoratori in cassa integrazione che vengono stipendiati con le tasse degli onesti cittadini. Io non pago neppure gli alimenti a mia moglie e a mio figlio figuriamoci, io sono ancora a carico di mia madre che, con quel minimo di pensione, è già tanto che riesce a campare senza chiedere l’elemosina. Ma io no! Che già questi extracomunitari clandestini delinquenti vengono a rubare il lavoro a noi senza neanche chiedere il permesso di rubare ai molti ladri italiani che, per colpa loro, stanno facendo la fame. Invece bisognerebbe che ognuno si assumesse le proprie responsabilità morali, civili e umanitarie e riconoscesse che tutti hanno delle precise colpe che mai ammetteranno. Tutti, ma io no!”
Maurizio Mura
lunedì 4 gennaio 2010
La dittatura della speranza
Viviamo tempi caratterizzati da innumerevoli incertezze che rendono il nostro già faticoso cammino ancor più instabile ed improvvisato. Chi ci ha preceduto non ha avuto certo una sorte migliore, anzi, fin dalla notte dei tempi delle società le uniche certezze dell’animale che si autodefinisce uomo sono state la precarietà della vita e la consapevolezza inevitabile della fine imminente. L’evoluzione della specie ci ha portato in dono una labile coscienza che lentamente e con assoluta costanza si è impadronita dei nostri bisogni ancestrali e li ha tramutati in esigenze essenziali. Così ci siamo via via trasformati in esseri pseudo-pensanti che pretendono la speranza nel futuro per costruire la vita migliore e nel frattempo abbiamo dimenticato e sminuito l’unica sicurezza che l’esistenza stessa da sempre ci offre, ossia vivere comunque un magico presente. Progredire umanamente avrebbe dovuto portare alle nostre facoltà mentali innumerevoli vantaggi da poter sfruttare in maniera oculata e consistente per migliorare quella che ormai è diventata solo una pretenziosa coscienza. Invece, l’avidità che alberga ormai stabilmente nei nostri pensieri domina incontrastata la quotidiana richiesta delle nostre presunte necessità. Dal primordiale diritto insindacabile di una speranza in una vita più comoda ci siamo progressivamente specializzati diventando dei veri professionisti della speranza. Ripudiando l’originaria filosofia umanistica, i nostri attuali sforzi sono esclusivamente, salvo qualche rara eccezione, ad indirizzo consumistico e quindi economico. Tutti i nostri più entusiastici pensieri sono fermamente orientati da un rigido paraocchi verso la speranza del sempre più pressante ed effimero successo personale. Verso quell’automobile che ci hanno imposto di sognare da quando eravamo bambini, verso i finti ideali dei fisici scultorei propinati di continuo come se fossero l’unica ed eterna verità, verso improbabili trasgressioni che invariabilmente ne alimenteranno ancora altre che nulla hanno di trasgressivo, verso quell’opportunità di differenziarci soltanto per renderci sempre più del tutto simili, e verso quell’oblio di assuefazioni che ci lascia dimenticare ogni valida alternativa. Siamo ormai così dipendenti dalla speranza in un domani immaginario da non accorgerci che anche oggi abbiamo sprecato la possibilità di vivere con gioia ogni importantissimo attimo. Però fosse solo perché siamo ancora vivi, fosse solo perché seguitiamo ad amarci e a sognarci e fosse solo perché dovremmo rispettarci che abbiamo il dovere di essere soddisfatti e sorridenti per quel che realmente rappresentiamo: l’umanità. Semplici e allo stesso tempo complesse forme di vita che fanno delle loro menti un uso indipendente ed organizzato al solo scopo di soddisfare quelli che sono diventati più che altro dei capricci travestiti nelle nostre innumerevoli speranze. Ma siamo sempre in tempo, volendo, a detronizzare questa dittatura, basterà amare di più il nostro presente così come viene e dimenticarci finalmente di un arrogante futuro su cui non possiamo affatto contare. Oggi noi siamo su questo pianeta solo per noi, per voi, per loro e per tutti quelli che hanno smesso di sperare perché amano la vita più della speranza e sono soddisfatti così. La vita è un privilegio e lo sarà sempre. Speriamo.
Maurizio Mura
giovedì 31 dicembre 2009
Il bello di ogni giorno
La sveglia non ha suonato. Pazienza. Anche se siamo in ritardo ormai non arriveremo più in tempo all’appuntamento con i nostri eterni impegni. E allora tanto vale crogiolarsi ancora un po’ rannicchiati nel tepore delle nostre materne lenzuola. Fuori piove, tira un forte vento e da qualche giorno fa molto freddo. Dall’esterno ci giungono i rumori frenetici della vita che beatamente ascoltiamo passivi e ci godiamo gli infiniti ultimi attimi del risveglio benedicendo l’esistenza che ci rende ancora protagonisti di un'altra opportunità. Oggi sarà comunque una bella giornata. Mentre aspettiamo che sia pronto l’immancabile caffè ci accorgiamo che anche il cellulare è spento e ci viene in mente che la sera prima non ci siamo ricordati di metterlo in carica. Poi, glorificando la nostra dimenticanza, sorridiamo perversi al pensiero di quanti ci abbiano insistentemente cercato. Lentamente e con un certo disorientamento cerchiamo il carica batterie che, come al solito, non riusciamo a trovare e che, guarda caso, è sempre nel solito posto. Infine, con una lenta e piacevole indolenza, decidiamo di procedere verso i soliti preparativi mattutini consapevoli che oggi è già una bella giornata. Così, pigramente, usciamo di casa. I primi passi nella selvaggia realtà della metropoli ci vedono subito impegnati nel dispensare sorrisi gratuiti a chiunque che, ovviamente mal compresi dal comune Homo Esauriticus,vengono immediatamente equivocati con il fine ultimo di provocare in noi una violenta reazione e che soprattutto ponga termine alle nostre buone intenzioni. Così, pensando di soddisfare la nostra sete di aggressività, ci invitano in ogni modo a sfogare i nostri istinti più animaleschi e a palesare alla comunità tutta il nostro condiviso disagio. Ma oggi è proprio una bella giornata. Il suono nevrastenico dei clacson, il rombo continuo di ogni genere di veicolo, le voci stridule dei pessimisti di natura e il cronico ritardo attendono solo di dare il giusto appiglio alle nostre frustrazioni esistenziali. Però oggi non vogliamo pensarci, oggi no. Con la dovuta serenità saliamo sul primo autobus che passa, anche lui in regolare ritardo, e nonostante non sia più l’ora di punta lo troviamo insolitamente pieno. Appena dentro ci accorgiamo immediatamente che l’aria che si respira è particolarmente nervosa, anche se per un lunghissimo attimo veniamo distratti dall’olezzo inconfondibile di uomo non lavato che invade le nostre narici. Pazienza continuiamo a ripeterci, tanto scendiamo tra poco, quand’ecco che alla nostra irresponsabile domanda, “ mi scusi, scende?”, detta al tizio davanti alla porta d’uscita, questi, giustamente seccato, ci risponde di farci gli affari nostri senza naturalmente dimenticare di apostrofarci con vari e coloriti turpiloqui. Ma oggi è sicuramente una bella giornata. Si aprono le porte e nello scendere il solito spiritoso che deve salire si frappone tra noi e la strada perché dice è nei suoi diritti salire sul mezzo pubblico prima di aver fatto scendere i passeggeri. Quindi, sempre con il nostro solito ed inadeguato sorriso, decidiamo che prima di andare in ufficio possiamo anche concederci il lusso prenderci un buon tramezzino e un bicchiere d’aranciata che rientra perfettamente nello spuntino di mezza mattina. E poi oggi sarà sicuramente una bella giornata. Entriamo in un bar portandoci appresso il nostro proverbiale buon umore e alla cassa una bionda e stagionata cassiera, non ritenendo opportuno ricambiare il nostro “buongiorno”, si limita a dirci il prezzo delle consumazioni senza neanche degnarci di uno sguardo. Il barista invece, pur osservandoci attentamente e chiaramente disprezzando il nostro immotivato sorriso, ci costringe a ripetere più volte la nostra ordinazione ed infine, invitandoci a stare calmi, si prodiga molto lentamente e con continui borbottii a servirci il nostro spuntino che già dall’aspetto non lascia presagire nulla di gradevole. Con una certa riluttanza addentiamo il nostro pasto che fin da subito il nostro palato ci comunica essere vecchio e stantio, né ci aiuta l’aranciata che dal colore giallino e privo delle desiderate bollicine tenta di stimolare il nostro nervosismo. Ma neanche questo scalfisce la nostra voglia di felicità, oggi è già una bella giornata. Il più è fatto e quindi decidiamo malvolentieri di recarci nel nostro angusto posto di lavoro. Adesso possiamo anche accendere quel fastidioso oggetto che ormai contraddistingue la nostra vita. Non facciamo neppure in tempo a trovare campo di ricezione che subito inizia a squillare e vibrare nervosamente. “Chi sarà?” ci chiediamo ma poi indifferenti rispondiamo al disturbatore di turno con la nostra solita pacatezza. Aldilà della linea riconosciamo istantaneamente il sibillino vociare della nostra adorata compagna che, senza darci l’occasione di rispondere nemmeno un cortese “buongiorno amore”, ci invade repentinamente di petulanti domande, accuse e richieste multiple. Ma noi, saggiamente, sappiamo che questa è una bella giornata. Limitando le nostre risposte a dei semplici “si tesoro” interrompiamo la conversazione consapevoli che l’aggressione continuerà nella serata non appena ci troveremo di fronte alla amata donna della nostra vita. Poi mettendo da parte inutili ed incompresi sentimentalismi avanziamo sicuri nel paradiso dei nostri opprimenti doveri. Varchiamo la porta dell’azienda che si degna di fornirci un indegno lavoro sempre ingenuamente sorridenti e senza abbandonare la speranza che ci alimenta. Però non facciamo neppure un passo nell’antro minaccioso dei nostri incarichi che una tempesta di improperi ci si scagliano addosso portati dai nostri lillipuziani superiori che tentano di compromettere la nostra incrollabile certezza. Ma noi siamo sicurissimi: nonostante tutto oggi è veramente una bella giornata. Così, tranquillamente beati, ci tuffiamo con la dovuta calma a svolgere le nostre mansioni con l’unica prerogativa essenziale di riconoscere la felicità laddove si nasconde. Non è certo un lavoro che ci soddisfa il nostro, né professionalmente né tantomeno sul profilo economico ma almeno ci dà la gioviale soddisfazione di sopravvivere di magre consolazioni. La vita ci sorride malgrado tutto e sebbene la società che ci avviluppa soffocandoci stia cercando di annullare il nostro spirito con continuità indefessa, oggi è giorno di busta paga e quindi avevamo ragione: oggi è una bella giornata. Il lavoro presto giunge al termine e i nostri sorrisi ormai non si contano più, allora prima di lasciare l’ufficio passiamo un attimo in amministrazione a prelevare il nostro, probabile, meritato stipendio. La segretaria generale dell’azienda ci accoglie con il solito cipiglio che ben conosciamo, caratterizzato com’è dal disprezzo che da sempre dimostra nei nostri confronti di precari sfaticati, e sarcastica ci porge il nostro miserevole bottino. Scorgiamo la cifra lentamente così come farebbe un giocatore di poker e sgomenti, ma sempre col sorriso sulle labbra, chiediamo le debite spiegazioni sul perché il nostro già magro stipendio si sia ridotto ulteriormente. Lei ci guarda nauseata e frettolosamente e con un tono che non ammette repliche ci comunica che in base alle nuove politiche del Welfare, le detrazioni a nostro carico sono aumentate per consentire alla Nazione di aiutare i più bisognosi. “Inaudito!”, pensiamo mentre mestamente ce ne torniamo a casa imprecando e bestemmiando. “I ricchi che tassano i poveri per aiutare i più bisognosi è una cosa che ci fa veramente incazzare!!” Questa inutile giornata di merda!
Maurizio Mura
lunedì 21 settembre 2009
Precari di un Dio minore
La storia continua: da Caino e Abele, attraversando la storia scritta dell’umanità per arrivare ai giorni nostri, è stato tutto un susseguirsi di preferenze convenienti soltanto verso quei figli che soddisfano le nostre astute aspettative. Ed ecco che, sfruttando appieno ciò che riteniamo utile, proseguiamo ancora a differenziarci in ogni ambito così da poterci permettere d’avere almeno un’illusione di appagamento. La crisi economica che sta investendo le presunte civiltà ormai globalizzate, pone in evidenza problematiche sociali di difficile risoluzione. Una di queste, di cui si fa un gran parlare attualmente, è il famigerato problema dei Precari. Ci si aspetterebbe, così come è logico, che la politica di ogni fazione si mettesse al lavoro per tentare di arginare un fenomeno produttivo che sta dilagando in ogni dove senza il benché minimo controllo. Certo è difficile credere che gli uomini preposti a trovare qualche soluzione a questa piaga sociale, possano e vogliano faticare a tale scopo. Il perché è presto detto: coloro che oggi appaiono indaffarati nella ricerca di un vaccino debellante sono, in gran parte, i responsabili di questa pandemia diffusa. I governi, le opposizioni e le varie sigle sindacali che negli anni hanno provocato questo stato di cose, oggi cavalcano l’onda populista facendoci credere di conoscere ed avere una magica cura che ci guarirà. Basterebbe ascoltarli o leggere le argomentazioni di questi faziosi personaggi per accorgersi che la loro strategia è priva del minimo senso della realtà. D’altronde gli stessi, dopo aver stipulato patti scellerati in ogni settore economico, non emergono certo nella volontà di rinunciare a quei profitti che “leggi ad gruppettum societarum” hanno consentito loro. Ad emblema di ciò è utile sapere che le società che si avvalgono di lavoratori Precari è democraticamente trasversale in tutte le fasce politiche, industriali e sindacali. In tutto questo l’informazione, sempre più schierata dalla parte delle sue convenienze, si è organizzata in modo da distribuire le sue verità giornalistiche che periodicamente i loro editori richiedono. Per questi ed altri motivi di parte in questi giorni si è finalmente deciso di dare spazio ai numerosi ed avvilenti problemi dei Precari. E qui l’angoscia è palesemente drammatica. Perché c’è precariato e precariato. L’apparente disponibilità dei mass media a trattare seriamente questa materia, in realtà è un truffaldino tentativo di oscurare la vera natura del problema. Coadiuvati dalle maggiori sigle sindacali che tutelano, forse, soltanto una minuscola parte dei precari peraltro riconducibili allo Stato, appare chiaro che non vi sia una decisa volontà a fare emergere il vero abisso ove risiedono il 75% dei lavoratori atipici in Italia. Il grosso di questi dipendenti di “serie B” è impegnato stabilmente, ma senza stabilità, nei tristemente famosi call center. Le differenze settoriali richieste e pretese dagli scaltri e politicizzati imprenditori baronali, hanno consentito il frazionamento dei Precari in varie tipologie proprio per avere una maggiore indipendenza decisionale e, quindi, piena garanzia che gli organi di controllo costituiti non possano, ma sempre più spesso non vogliano, controllare affatto. Tutto è stato pianificato affinché i Precari, sempre più sfruttati dai numerosi imprenditori senza scrupoli, siano impossibilitati ad azioni che tutelino la loro dignità. Il “divide et impera”, organizzato con cura dalla associazionismo fin troppo evidente tra imprenditori e sindacati, ha generato una giungla differenziata e fittissima in cui nessuno può districarsi così facilmente. È sicuramente giusto discutere dei Precari della scuola, della sanità e dei vari settori pubblici, ma le discussioni sono organizzate così abilmente da escludere tutti gli altri lavoratori transitori che pure sono una maggioranza inquietante. In più, la drammatica mancanza di ogni forma di tutela sta inevitabilmente spingendo tutti i Precari di serie”B” verso una lotta intestina tesa ad impedire quell’unità di intenti che permetterebbe loro quelle azioni legali e sindacali che sono di riferimento nei soli compartimenti pubblici e, parzialmente, nelle comunicazioni. Il sacrificio oscuro a cui si devono sottoporre i figli minori viene ancor più aggravato dalla situazione di abbandono totale da parte delle istituzioni che, con il loro occultamento premeditato, consentono speculazioni monetarie e umane a danno,fisico e morale oltre che monetario, dei più deboli. L’eco mediatico che, limitatamente, sta evidenziando le difficoltà di sopravvivere di circa due milioni e mezzo di Italiani è rivolto unicamente a quel 25% circa di figli privilegiati e per i restanti figli non rimane che avere pazienza e non perdere la speranza. Forse un giorno saremo anche noi figli di un Dio che non sia minore.
Maurizio Mura
venerdì 28 agosto 2009
Madonna che silenzio c'è stasera
“O tu vinci al totocalcio, o tu sposti una chiesa, o tu te ne vai in Perù.” Queste le drammatiche possibilità che, forse l’ultimo poeta della cinematografia italiana, continuava a ripetere in un suo film degli anni ’80, amaramente pregustando un futuro che ormai appartiene a tutti noi e che opprime ogni opportunità sociale ed ogni riconduzione umanitaria. La metafora che Francesco Nuti portò sullo schermo in quella che fu la sua prima opera da solista e che gli diede la spinta decisiva per farsi conoscere dal grande pubblico, aveva nella sceneggiatura, scritta dallo stesso Nuti e da Elvio Porta, l’angoscia tutt’ora attuale di chi avvertiva prima di molti la necessità di condividere con sincerità e sentimento, la voglia di combattere contro un male che nessun dottore o medicinale potrà mai curare: la solitudine. Il mondo di oggi, con tutte le sue pragmatiche tecnologie, rivolge le sue numerose ricerche in ogni ambito: medico, nucleare, alimentare, meccanico, militare ed estetico, spendendo i profitti dell’umanità per generare altri profitti ed ottenere complessi percorsi che invariabilmente riconducono l’uomo a vecchie e nuove solitudini. Anche la creazione dei nuovi sistemi di comunicazione, dalle agenzie matrimoniali ad ogni sorta di Facebook, hanno come loro scopi principali lo sfruttamento monetario del disagio sociale e l’opportunismo mediatico pubblicitario. Tutti rivolgono i loro famelici sguardi verso facili e convenienti relazioni d’amicizia, d’amore e, sempre più spesso, familiari, pur di poter avere a disposizione quei beni materiali che illudono possano portare un miglioramento sostanziale della nostra sempre più precaria esistenza. Qualcuno ancora tenta di osteggiare questo stato di cose e lotta affinché non prevalgano valori che facciano dell’umanità un becero mercato di sentimenti. Francesco Nuti in questo è stato un precursore attento e puntuale nel mettere in risalto ciò che oggi appare seriamente evidente. In tutti i suoi film emerge con prepotenza la necessità ed urgenza di prendere in attenta considerazione tutti i disturbi che questa meschina società sta costruendo con il suo qualunquismo sociale. Grazie anche al suo pensiero sarebbe facile capire a quali disagi possa portare la solitudine e la rinuncia di ogni prerogativa umanitaria e il mercato cinematografico, adeguandosi perfettamente a questa assurda società, ha contrastato e a volte impedito a tutti quegli artisti che, come Nuti, puntavano il dito contro ognuno di noi sottolineando l’assurdità egoistica che ci pervade. Però l’emarginazione che ci accompagna è sempre più alimentata da noi stessi che non vogliamo riconoscere il distacco progressivo dai sentimenti gratuiti. Siamo tutti pronti e vogliosi a denunciare l’abbandono di ogni animale, pianta, minerale, o di favolose quanto decrepite architetture, ma non ci accorgiamo che l’uomo è già stato lasciato a se stesso e che presto non ci sarà più spazio nei nostri interessi se non per qualcosa che ci riguarda direttamente. Quando saremo soli ci accorgeremo che qualcosa ci è sfuggito e ci ha depredato e non ci soddisferanno più le chimere dei vari reality-farsa e delle mille lotterie martellanti. La falsa ideologia che i neo poteri dittatoriali stanno subliminalmente inculcando nei resti del nostro convinto cervello, sta velocemente modificando le nostre ambizioni e speranze di umanità sociale. Lentamente ed inesorabilmente il nuovo credo, alimentato sempre più dai nostri continui egoismi, crea lotte senza fine tra gli esseri un tempo umani al fine di generare incondivisibili interessi che produrranno ulteriori egoismi. Questa dottrina, semplice ed enigmatica, è un attentato alla natura dell’uomo: con la solitudine ci dividono, con il denaro ci governano. E quando qualche combattente della filosofia, letteratura o della cinematografia tenta di segnalare questo stato di cose, il regime che ognuno di noi ha scelto andando a votare si adopera alacremente per ridicolizzare ed annientare quanti, come Francesco Nuti, hanno deciso di non far finta di niente. Per questo si è tentato di eliminare uno scomodo poeta che con gentilezza raccontava il dramma delle solitudini causate dal materialismo, imputandogli l’incomprensibilità delle sue sceneggiature, l’allungamento dei tempi di ripresa e, cosa inaccettabile, l’uso eccessivo di alcol anche in luoghi pubblici. In un mondo come questo, in un’Italia come questa, è veramente un miracolo che ci sia ancora qualcuno che, assecondando le sue stravaganze, riesce a farci capire che la direzione indicata negli ultimi decenni dai concetti del libero mercato è sicuramente quella che porterà il nostro corpo e la nostra mente in un oblio dorato dai beni di consumo e verso una diffidenza totalitaria che ci lascerà inesorabilmente soli. Caro Francesco, Madonna che silenzio c’è anche stasera.
Maurizio Mura
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