venerdì 5 giugno 2009

Il nome dell'Innominato


“Purché se ne parli.” Questa la frase che potrà identificare al meglio questo primo decennio del 2000 caratterizzato com’è, e come è stato, da ataviche previsioni di sciagure che puntualmente stimolano le superstizioni di ognuno cosicché si possano giustificare tutte le nefandezze di questa presunta società moderna. Dall’ Apocalisse di Giovanni alle Centurie di Nostradamus che ipotizzavano la fine dell’umanità come specie, fino alle Denunzie poetiche di Pier Paolo Pasolini per arrivare alle Denuncie penali e civili di Giovanni Falcone che prevedevano ed avvisavano il Mondo della fine dell’umanità come valore, tutto è trascorso senza che nessuno si sia reso conto che ogni profezia si sta progressivamente avverando, escludendo da questo qualsiasi bisogno di dare credito a tutta una serie di elucubrazioni che da sempre tentano di avvalorare le varie tesi magiche o religiose che siano. Magari si poteva dare maggiore importanza a riferimenti letterari e antropologici che ci appartengono e che, se presi nella giusta considerazione, forse sono ancora in grado di aiutare il genere umano a capire cosa si sta apprestando a capitarci. Il futuro che si sta profilando all’orizzonte è degno delle migliori Distopie di George Orwell e sfida le Visioni profetiche di Stanley Kubrick, il presente corre prepotentemente accanto e ci impedisce di vedere anche la più palese verità se non veniamo stimolati adeguatamente dagli organi preposti e i media, con gli annessi sistemi di controllo, violentano il nostro passato per adeguarci alle loro pretese di sfruttamento di ogni società. L’esigenza dell’uomo di narrare le proprie storie nasce con la nascita dell’uomo stesso. Abbiamo più bisogno di riconoscerci che di cibo e in questo l’evoluzione è progredita fino ad arrivare a quel venticello leggero di diffamazione e verità che nei millenni non ci ha mai abbandonato e che oggi domina le menti. Dall’eco spropositato di uno scandalo pubblico al pettegolezzo privato sul nostro vicino antipatico, è tutto un’associarsi e assoggettarsi velocemente per partecipare a questo assurdo torneo da cui nessuno vuole escludersi o può essere escluso. L’informazione intesa come diritto è ormai unicamente utilizzata a beneficio del profitto industriale come promotore di un supposto interesse sociale, comunemente detto gossip, che di socialmente interessante non ha nulla. Anche l’odierna libera informazione dedica circa il 70% della sua Libertà alla ricerca di notizie utili in cui potersi assolutamente riconoscere e non esiste giornale, pubblicazione, radio, televisione e lo stesso internet che possano sottrarsi a questo incantesimo magnetico del ritorno economico che avrà l’informazione dal pettegolezzo. Lo slogan che ci impongono è quanto di più terrificante l’uomo possa pianificare: più gossip è più libertà. Brrrrrr…! Questo è l’astuto messaggio subliminare che ascoltano i nostri stanchi cervelli per 24 ore al giorno e 7 giorni a settimana e a volte ci associamo al loro pensiero credendo veramente di averlo avuto noi e ci si ritrova a parlare continuamente, in ogni luogo, in qualsiasi situazione, anche nel sonno, dell’uomo più nominato d’Italia, convinti di essere liberi di poter esprimere la nostra opinione su di lui e che il nostro pensiero non si lascerà influenzare da nessuno che non la pensi come noi. L’originalità spesso ci difetta, ma dopo aver per 15 anni bestemmiato, maledetto, calunniato, amato, benedetto e ringraziato l’Innominabile Capo del Governo, anche Dante farebbe fatica. Un aiuto in tal proposito ce l’avrebbe potuto dare quell’alchimista d’arte di Oscar Wilde coniando per l’occasione un aforisma adeguato, ma sfortunatamente non potrà accontentarci visto che ha lasciato questo mondo pettegolo da oltre un secolo. Un suo pensiero però oggi dovrebbe essere di rifermento a quanti fanno dell’Innominato l’uomo più chiacchierato del Paese: bene o male, purché se ne parli. Se da una parte i sostenitori del premier sono giustificati perché garantiscono piena visibilità a Sua Inquietudine, così non è per la controparte che giornalmente, e con assoluta costanza temporale, decora buona parte dei suoi spazi di libera informazione con il nome dell’Innominato sempre messo in bell’evidenza. E non soddisfatti ne traggono anche motivo di giusto orgoglio dell’esser diventati la bandiera scandalistica che più si prodiga nel promuovere direttamente o indirettamente il nome e il cognome del suddetto. Molti, se non tutti gli informatori avversari, accampano delle ipotetiche ed indiscutibili motivazioni etiche e costituzionali per giustificare la loro coscienza deontologica nel sacro diritto di informare i cittadini sugli usi e costumi di una personalità politica controversa, fondata esclusivamente su capacità ammaliatrici e telegeniche. Chiunque si occupi anche minimamente di sociologia e comunicazione, politica e strategie elettorali, psicologia e profitto del marketing, dovrebbe sapere che per ottenere risultati certi si deve puntare con forza sulla qualità dei propri prodotti e sulla validità delle proprie idee, cosa questa che uomini politici, giornalisti o semplici opinionisti del mercato della frutta non hanno ben valutato, o non vogliono valutare, che il loro continuo messaggio fazioso, se pur a volte giusto, sta producendo gli stessi risultati negativi che ottennero le pubblicità comparative di qualche tempo fa. Perché dovrebbe essere ormai assodato che parlare bene o male dello stesso individuo si ottiene un unico drammatico risultato: quello di pubblicizzare un nome, l’Innominato, che nessuno ha più voglia di ascoltare o vedere. Parafrasando un antico luogo comune che trae spunto da preistoriche superstizioni e che, visti i tempi in cui viviamo, andrebbero valutate almeno con la giusta serenità e attenta valutazione di chi vuole avvertire che “ad invocar continuamente il demonio, lui arriva, porta via tutti, pure il vicario”. E come disse Eduardo De Filippo: “Non bisogna essere superstiziosi, perché porta male”, continuare a nominare ad libitum l’Innominato, porterà peggio.

Maurizio Mura

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