lunedì 22 giugno 2009

Il prezzo dell'uomo


Di qualsiasi cosa abbia bisogno l’umanità non dovremmo preoccuparci più di tanto, la soluzione è chiara anche se non sempre alla portata di tutti, basta seguire le indicazioni e modalità riportate sul foglietto illustrativo ed attenerci ai consigli imposti dalle leggi del mercato. Un mercato che oggi non evoca più in nessuno gli odori e i sapori dei prodotti della terra, né tantomeno la periodica attesa stagionale dell’arrivo di desiderate primizie. Ogni cosa è subordinata al prezzo commerciale del solo prodotto che da sempre, ma in particolare negli ultimi anni, è al centro degli interessi materiali di tutti: l’essere umano. Finiti i tempi della filosofia del pensiero, delle costruzioni religiose e delle necessità ideologiche; esaurite presto le iniziative sociali, le scoperte scientifiche umanistiche e le invenzioni utili, tutti oggi rivolgono le loro attenzioni al profitto personale che potrà scaturire dalle nostre fittizie conoscenze. La famiglia non è più famiglia, se non riesce a garantire a tutti i componenti un tenore di vita che le indispensabili esigenze consumistiche indicano, richiedono e pretendono. I sentimenti più autentici trovano sempre più spesso attrazione solo nei confronti di chi riesce a dimostrare di avere quei connotati materialistici e superficiali richiesti dalle nostre invadenti insicurezze. L’amicizia è ormai relegata in pochi esemplari in via di estinzioni che si ostinano a cercare nei valori la giusta predisposizione, nonostante la realtà attuale indichi con cinica chiarezza che l’unico affetto che l’essere umano rispetta è quello che si può sfruttare in qualsiasi modo. Così la famiglia non è più “l’unico valore”, se non dispone di quei mezzi di consumo che genitori e figli pretendono; l’amore non è più “l’unica ricchezza”, se non riesce a soddisfare i numerosi sogni commerciali; l’amicizia non è più “un tesoro inestimabile”, se non può essere spremuta ai soli fini materialistici. Ogni valore umano, insomma, serve solo ad ottenere quei beni concreti indispensabili per poter avere una chiara e precisa valutazione delle persone che incroceranno il nostro percorso egoistico. Nelle infinite opportunità sociali a nostra disposizione non mettiamo più in campo le riconosciute qualità di ognuno, ma solo l’interessamento pragmatico dello sfruttamento sociale. D'altronde, dopo aver spremuto fino all’esaurimento ogni risorsa animale, vegetale e minerale, era scontato rivolgere le nostre mire predatorie direttamente contro noi stessi, rimasti ormai l’ultimo articolo commerciale di questo immenso mercato in cui siamo diventati contemporaneamente prodotto e consumo. La famiglia ha la parte più importante e si assume sempre più volentieri il ruolo di fabbrica di materiale umano destinato alla vendita; l’amore è sempre più un’agenzia pubblicitaria alla quale rivolgerci per indirizzare le giuste proposte mercantili; l’amicizia è ormai un’utopia spirituale in cui tuffarci ogni qual volta ci necessiti qualcosa che serva a farci ritenere fintamente amici. I nuovi sistemi di intrattenimento combattono la solitudine e ne generano altra in misura maggiore a quella in origine, la disumanizzazione concentra il nostro assoluto egoismo per farci pretendere l’altrui amicizia proprio quando i nostri bisogni materiali pressano da vicino la nostra coscienza che, ormai uniformata in tutti, ci fa credere che le ragioni di ognuno siano superiori alle logiche dei nostri opportuni amici stagionali. E’ sempre più un fiorire di famiglie d’occasione, amori con gli sconti e amicizie in liquidazione e, a voler ipotizzare il prezzo di ogni valore, si fa presto ad avere un listino delle varie tipologie merceologiche umane. Una sana famiglia non vale più di 10000 Euro, un vero amore non più di 5000, una sincera amicizia non più di 2000, arrotondando il tutto per eccesso. E’ tempo di risparmi e se saremo stati abbastanza oculati, potremo sempre approfittare dei saldi in liquidazione dell’articolo più richiesto: l’uomo.

Maurizio Mura

domenica 14 giugno 2009

Lo spirito sportivo delle Sinistre


“L’importante è partecipare”. Con questo soddisfacente epitaffio si concludono drammaticamente anche queste ultime elezioni Europee senza che nessuno dei pretendenti di sinistra ad una poltrona dell’Europarlamento, si possa ritenere particolarmente affaticato per lo sforzo profuso durante la scampagnata elettorale che li ha visti fieri partecipanti. Quando qualche mese fa si presentarono all’iscrizione degli ultimi giochi politici, l’impressione che tutti hanno avuto era quella di un gruppo mal assortito, fuori forma e con la perenne idiosincrasia al gioco di squadra. I singoli atleti, poi, mancavano di un capitano affidabile su cui fare riferimento e di un metodo di gioco che potesse portare dei risultati accettabili. Né si poteva contare sulla presenza del benché minimo fuoriclasse che potesse regalare quella fantasia e genialità tipica di chi ha sin dalla nascita una qualità evidente. La preparazione atletica si manifestava in tutta la sua approssimazione ma si cercava di sopperire tentando almeno, e giustamente, di ostacolare con ogni mezzo gli avversari i quali però, sin dall’inizio delle gare, si dimostrarono nell’insieme una squadra più competitiva e destinata ad una facile vittoria. Già ai nastri di partenza delle varie discipline Europee, Provinciali e Comunali, gli improvvisati campioni fecero tutta una serie di simposi a mezzo stampa per giustificare, con puerili motivazioni, le loro evidenti difficoltà di poter competere con forza e determinazione affinché si potesse portare in cascina anche solo una misera e unica medaglia. Così, prendendo come slogan ufficiale il pensiero decubertiano, si tuffarono nella mischia rugbistica con la veemenza di un bradipo e l’entusiasmo storico dei seguaci di Dostojwski. Nello stillicidio continuo che gara dopo gara li vedeva commiserevolmente perdenti, piano piano tutti i compassati ginnasti persero tutta la loro baldanza e fierezza e non gli rimase altro da fare che prostrarsi penosamente a piedi dei loro sostenitori chiedendo un applauso alla loro sportività con la consapevolezza di chi sa di non meritarlo. Alcuni tra i più delusi pensarono che fosse giusto tirar loro dei succulenti pomodori rossi, ma dopo aver osservato i loro grassi ventri molli decisero che sarebbe stato meglio farli ad insalata e placare l’amarezza che attanaglia ognuno dopo una cocente disfatta. A giochi ormai conclusi i tifosi più affezionati, che imperterriti avevano continuato ad incitarli, si aspettavano almeno un onesta analisi sulle evidenti responsabilità della loro inadeguatezza presuntuosa che li vede ogni volta sconfitti in qualsiasi competizione. Nessuno dei concorrenti però si sentiva in dovere di affrontare gli oneri né tantomeno di riconoscerli come tali, d'altronde non è richiesto dalla moralità comune che gli Dei, siano questi politici-religiosi o sportivi-televisivi, debbano alcuna spiegazione ai loro ammiratori, che invece hanno l’obbligo di garantire alle Divinità il loro appoggio incondizionato. E allora forza, applaudite tutti questi ingloriosi atleti cosicché lo Spirito Olimpico prosegua e non lasci rimpianti, perché lo sanno tutti: l’importante è partecipare.

Maurizio Mura

venerdì 5 giugno 2009

Il nome dell'Innominato


“Purché se ne parli.” Questa la frase che potrà identificare al meglio questo primo decennio del 2000 caratterizzato com’è, e come è stato, da ataviche previsioni di sciagure che puntualmente stimolano le superstizioni di ognuno cosicché si possano giustificare tutte le nefandezze di questa presunta società moderna. Dall’ Apocalisse di Giovanni alle Centurie di Nostradamus che ipotizzavano la fine dell’umanità come specie, fino alle Denunzie poetiche di Pier Paolo Pasolini per arrivare alle Denuncie penali e civili di Giovanni Falcone che prevedevano ed avvisavano il Mondo della fine dell’umanità come valore, tutto è trascorso senza che nessuno si sia reso conto che ogni profezia si sta progressivamente avverando, escludendo da questo qualsiasi bisogno di dare credito a tutta una serie di elucubrazioni che da sempre tentano di avvalorare le varie tesi magiche o religiose che siano. Magari si poteva dare maggiore importanza a riferimenti letterari e antropologici che ci appartengono e che, se presi nella giusta considerazione, forse sono ancora in grado di aiutare il genere umano a capire cosa si sta apprestando a capitarci. Il futuro che si sta profilando all’orizzonte è degno delle migliori Distopie di George Orwell e sfida le Visioni profetiche di Stanley Kubrick, il presente corre prepotentemente accanto e ci impedisce di vedere anche la più palese verità se non veniamo stimolati adeguatamente dagli organi preposti e i media, con gli annessi sistemi di controllo, violentano il nostro passato per adeguarci alle loro pretese di sfruttamento di ogni società. L’esigenza dell’uomo di narrare le proprie storie nasce con la nascita dell’uomo stesso. Abbiamo più bisogno di riconoscerci che di cibo e in questo l’evoluzione è progredita fino ad arrivare a quel venticello leggero di diffamazione e verità che nei millenni non ci ha mai abbandonato e che oggi domina le menti. Dall’eco spropositato di uno scandalo pubblico al pettegolezzo privato sul nostro vicino antipatico, è tutto un’associarsi e assoggettarsi velocemente per partecipare a questo assurdo torneo da cui nessuno vuole escludersi o può essere escluso. L’informazione intesa come diritto è ormai unicamente utilizzata a beneficio del profitto industriale come promotore di un supposto interesse sociale, comunemente detto gossip, che di socialmente interessante non ha nulla. Anche l’odierna libera informazione dedica circa il 70% della sua Libertà alla ricerca di notizie utili in cui potersi assolutamente riconoscere e non esiste giornale, pubblicazione, radio, televisione e lo stesso internet che possano sottrarsi a questo incantesimo magnetico del ritorno economico che avrà l’informazione dal pettegolezzo. Lo slogan che ci impongono è quanto di più terrificante l’uomo possa pianificare: più gossip è più libertà. Brrrrrr…! Questo è l’astuto messaggio subliminare che ascoltano i nostri stanchi cervelli per 24 ore al giorno e 7 giorni a settimana e a volte ci associamo al loro pensiero credendo veramente di averlo avuto noi e ci si ritrova a parlare continuamente, in ogni luogo, in qualsiasi situazione, anche nel sonno, dell’uomo più nominato d’Italia, convinti di essere liberi di poter esprimere la nostra opinione su di lui e che il nostro pensiero non si lascerà influenzare da nessuno che non la pensi come noi. L’originalità spesso ci difetta, ma dopo aver per 15 anni bestemmiato, maledetto, calunniato, amato, benedetto e ringraziato l’Innominabile Capo del Governo, anche Dante farebbe fatica. Un aiuto in tal proposito ce l’avrebbe potuto dare quell’alchimista d’arte di Oscar Wilde coniando per l’occasione un aforisma adeguato, ma sfortunatamente non potrà accontentarci visto che ha lasciato questo mondo pettegolo da oltre un secolo. Un suo pensiero però oggi dovrebbe essere di rifermento a quanti fanno dell’Innominato l’uomo più chiacchierato del Paese: bene o male, purché se ne parli. Se da una parte i sostenitori del premier sono giustificati perché garantiscono piena visibilità a Sua Inquietudine, così non è per la controparte che giornalmente, e con assoluta costanza temporale, decora buona parte dei suoi spazi di libera informazione con il nome dell’Innominato sempre messo in bell’evidenza. E non soddisfatti ne traggono anche motivo di giusto orgoglio dell’esser diventati la bandiera scandalistica che più si prodiga nel promuovere direttamente o indirettamente il nome e il cognome del suddetto. Molti, se non tutti gli informatori avversari, accampano delle ipotetiche ed indiscutibili motivazioni etiche e costituzionali per giustificare la loro coscienza deontologica nel sacro diritto di informare i cittadini sugli usi e costumi di una personalità politica controversa, fondata esclusivamente su capacità ammaliatrici e telegeniche. Chiunque si occupi anche minimamente di sociologia e comunicazione, politica e strategie elettorali, psicologia e profitto del marketing, dovrebbe sapere che per ottenere risultati certi si deve puntare con forza sulla qualità dei propri prodotti e sulla validità delle proprie idee, cosa questa che uomini politici, giornalisti o semplici opinionisti del mercato della frutta non hanno ben valutato, o non vogliono valutare, che il loro continuo messaggio fazioso, se pur a volte giusto, sta producendo gli stessi risultati negativi che ottennero le pubblicità comparative di qualche tempo fa. Perché dovrebbe essere ormai assodato che parlare bene o male dello stesso individuo si ottiene un unico drammatico risultato: quello di pubblicizzare un nome, l’Innominato, che nessuno ha più voglia di ascoltare o vedere. Parafrasando un antico luogo comune che trae spunto da preistoriche superstizioni e che, visti i tempi in cui viviamo, andrebbero valutate almeno con la giusta serenità e attenta valutazione di chi vuole avvertire che “ad invocar continuamente il demonio, lui arriva, porta via tutti, pure il vicario”. E come disse Eduardo De Filippo: “Non bisogna essere superstiziosi, perché porta male”, continuare a nominare ad libitum l’Innominato, porterà peggio.

Maurizio Mura