martedì 10 marzo 2009

“ Professione? Disoccupato da un momento all’altro. ”






“ Che lavoro fai? ” – ci chiedono i nostri amici e noi, chi dilungandosi in colorite ed irruente spiegazioni, chi con meste sintesi sconfortanti, rispondiamo – “ Il disoccupato da un momento all’altro. ” – Ci guardano divertiti ed inconsapevoli dei nostri drammi ed incalzandoci curiosi ci stimolano a proseguire – “ E che lavoro sarebbe? – domandano – O hai un impiego o non lo hai, semplice! ” – sentenziano sicuri delle loro convinzioni. E noi lì a tentare di spiegare che non è così semplice spiegare qualcosa che non avremmo dovuto spiegare, credo,…però almeno ci proviamo, sperando nella solidarietà dei nostri comuni affetti. Poi, con incedere stanco ed incerto, ci buttiamo nella mischia delle parole cercando almeno di trattenere nei nostri pensieri un valido filo conduttore. Preghiamo: – “ Il discorso è questo: – iniziamo dandoci un presunto contegno – da diverso tempo, ormai, il mio è stato quello che i benpensanti e i politici chiamano “lavoro atipico”…” “ Ah, ho capito! Il precario! ” – ci interrompono illusi dalla loro frettolosa traduzione. “…aspetta, no, non proprio. Ti dicevo che da sei, sette anni sono occupato fisso a tempo determinato come collaboratore coordinato continuativo che mi ha garantito una valida precarietà anche nella sicura certezza di un ruolo alternato di parasubordinato…”– “ Eh? ” – stupiti e sospettosi rimarcano – “…appunto. Nel senso che io un lavoro ce l’ho, o meglio ce l’avrei, perché mi alzo tutte le mattine per andarci, timbro il cartellino, rispetto gli orari e pago le tasse, però il mio è un lavoro flessibile…”– “ Cioè? ” – ci chiedono ormai sempre più confusi – “cioè, è un lavoro che richiede qualche sacrificio, con i tempi che corrono devo, anzi, è meglio per me piegarmi alle nuove esigenze del mercato, altrimenti rischio di spezzarmi.” – Ci fissano annoiati e indifferenti, ma non disdegnano di regalarci qualche altro momento di ascolto passivo, nonostante l’argomento non trovi in loro il minimo interesse. Così ci offrono l’ultima cortesia – “ Senti, io tra poco devo scappare, vorrei proprio ascoltarti, ma devi essere più chiaro e assolutamente sintetico. ” – “ Va bene – rispondiamo timorosi ed insicuri – ma certo, anzi scusami, vedrai, ti rubo soltanto un minuto. Stavo dicendo che tutto sommato io posso considerarmi un fortunato e devo ringraziare il cielo che mi concede ancora qualche opportunità, perché questo tipo di occupazione mi lascia un sacco di tempo libero da dedicare a me stesso, ai miei affetti, alle mie passioni e, se volessi, anche per cercarmi un altro lavoro. Ma io sto bene così, non voglio esagerare,che poi rischio di fare il passo più lungo della gamba, perché fare il “disoccupato da un momento all’altro” è un lavoro di enorme responsabilità che richiede abnegazione e spirito di sacrificio, senza che ti parli dello stress e della fatica che produce. Almeno, però, tutto è compensato dall’aspetto economico, che non sarà certo elevato, ma ti da l’opportunità di considerarti un privilegiato, se non altro sotto il profilo fiscale e poi vuoi mettere? È vero che per tipologia di contratto vengo licenziato a fine progetto, circa ogni due, tre giorni, ma non sai la soddisfazione che provo ad essere assunto di nuovo, sento la stessa felicità di chi riesce a trovare un posto fisso senza, però, che per loro ci siano dei privilegi. Insomma, per concludere, il mio è un lavoro che ti fa pensare, stimola l’iniziativa e ti da l’opportunità di capire il tuo lavoro e riconosce i tuoi meriti. Senti, sarò presuntuoso, ma per me tutti dovrebbero essere assunti come “disoccupati da un momento all’altro”, sono sicuro che ci sarebbe meno assenteismo, non trovi? ” – Non ci siamo resi conto, travolti dalla nostra sintesi, che i nostri cari se ne sono andati nel bel mezzo del nostro soliloquio e che, con squisita sensibilità, non hanno voluto interrompere, ma noi che li conosciamo e stimiamo sappiamo che ci capiscono, anche perché, guardando l’orologio, ci accorgiamo che è già tardi anche per noi e se c’è una cosa che un “disoccupato da un momento all’altro” non può assolutamente permettersi è di arrivare in ritardo. “Corro, forse ce la faccio”


Maurizio Mura

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