giovedì 14 maggio 2009

Il coraggio dell'emigrante


Emigrare oggi ha la stessa peculiare necessità che ha spinto i primati prima, l’australopiteco poi e, infine, l’homo sapiens-sapiens ai suoi albori, ad intraprendere lunghi e pericolosi viaggi verso l’ignoto, al solo scopo di cercare di sopravvivere in un pianeta ostile eppur rigoglioso di opportunità. Lasciato il primordiale paradiso del corno d’Africa per colonizzare ogni ambiente, l’infinita avventura dell’uomo non è che agli inizi. Stanziali o nomadi, conquistatori o diseredati, tutti siamo e saremo il risultato di una sfida alla natura che mai si concluderà. L’adattabilità della nostra specie si è evoluta con noi e ci ha portato nuove forme di sopravvivenza, dalle quali spremiamo ogni goccia vitale che ci consenta di progredire e di sperimentare ancora nuove alternative utili. Ma il progresso di tutti è stato ottenuto grazie al coraggio di pochi che hanno creduto nella loro forza istintiva di non lasciarsi sopraffare dagli elementi, siano questi ambientali, sociali o politici. Molti gli esempi storici che dimostrano la perseverante continuità degli esseri umani, ma non solo, a migrare verso terre sconosciute eppur sognate, tenebrose ed ospitali, assolate e malsane. Dalla cacciata di Eva dall’Eden agli antichi naviganti fenici, dall’esodo di Mosè ai colonizzatori greci e troiani, dagli esploratori romani agli avventurosi vichinghi e poi Gengis Khan e i saraceni, Cristoforo Colombo e gli spagnoli, Amerigo Vespucci e i portoghesi, gli inglesi, i nativi americani e gli statunitensi, gli Atzechi e il popolo dell’isola di Pasqua, fino ad arrivare al ventesimo secolo caratterizzato dalle migrazioni di una infinità di popoli sofferenti e privati nelle loro terre di ogni opportunità. Questi esseri umani, fatalmente svantaggiati per luogo di nascita, hanno il coraggio e la dignità di intraprendere una scelta che, inevitabilmente, lascia un segno di triste angoscia che schiaccia i loro cuori. Con occhi fissi guardano alla terra promessa con l'incerta speranza di un futuro certo. Viaggiano verso il presunto paradiso marciando serrati con ogni mezzo per non mancare al proprio appuntamento con la vita. E se poi i loro piedi sono stanchi e piagati, le vecchie ruote bucate e gli improvvisati canotti sgonfi e in balia delle onde, comunque non si arrendono e la loro opportunità se la vanno a prendere là dove sperano che sia.
Per questo voglio fare un reverente inchino ad una mia amica albanese, che chiamerò Brunilda, da prendere come uno dei tanti esempi nonché simbolo meraviglioso e tenace di un coraggio che ha nella sua forza una dignità da cui tutti dovremmo prendere esempio. Quando nel 2002, appena diciottenne, lasciò la sua famiglia a Tirana non poteva certo saperre cosa il futuro le stesse preparando e, nonostante la paura del viaggio che l’attendeva, il suo assoluto coraggio non la fece esitare. Partire soli per una nuova e sconosciuta meta non fornisce le garanzie che ogni genitore pretende dal proprio figlio prima di lasciarlo andare. Se poi pensiamo che Brunilda per costituzione fisica, pur essendo donna agli occhi del mondo, appare ancora adesso una pura adolescente, viene da chiedersi con quale stato d’animo l’abbiano lasciata sola a prendere il traghetto che l’avrebbe portata verso l’oscurità di una ipotetica fortuna. Facile immaginare le abbondanti calde lacrime familiari strisciare il viso dei suoi fratelli, di suo padre e di sua madre. Le stesse lacrime che avevano i nostri antenati di ogni tempo e che avranno i futuri sfortunati emigranti di ogni nazionalità. Ma Brunilda è forte, coraggiosa, determinata e la sua dignità zampilla vigorosa dai suoi occhi brillanti, perché lei ha avuto ragione delle sue scelte. Scelte che per definizione implicano una varietà di prospettive e che quando chiunque di noi si venisse a trovare costretto da eventi extra ordinari della vita ad emigrare, nessuno o quasi vorrebbe avere come alternative l’eventualità di una esistenza passata tra i marciapiedi del malaffare, la violenza degli istituti penitenziari, gli stenti di una vergognosa baraccopoli. Qualsiasi persona di ogni nazionalità, religione e cultura cerca di dare alle sue ambizioni esistenziali solo una valida certezza di poter sopravvivere con dignità. Per questo dovremmo onorare tutti quelli che come Brunilda, e sono tanti, hanno intrapreso una nuova avventura in una sconosciuta patria portando nel loro bagaglio solo la nostra stessa voglia di riuscire con forza e con la dignità di chi non vuole, non può e non deve arrendersi. Mai.

Maurizio Mura

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