giovedì 2 aprile 2009

Essere o avere,questo è un problema



“AAA. Alto, biondo, occhi azzurri, fisico scultoreo, dentatura perfetta, capigliatura fluente, professionista affermato, benestante, villa di proprietà, automobile sportiva, vestiti sempre eleganti, abbronzato tutto l’anno, cercasi urgentemente per femmina con le stesse qualità”. Questo il testo recondito, ma non troppo, che sempre più spesso viene richiesto alle persone durante i sempre più difficili contatti umani. Ossia: “Dimmi cosa hai e ti dirò chi sei, ma soprattutto ti dirò se puoi frequentarmi”. La politica sociale organizzata e fomentata negli anni ’50 dopo la fine della seconda guerra mondiale, trova oggi il suo massimo splendore a favore di un becero consumismo orientato nell’educazione alienante di un estremo individualismo, che garantisca a tutti una piena e produttiva superficialità. Tramontati e disattesi antichi ideali ormai relegati nell’oblio dell’utopia, l’umanità tutta, se escludiamo i pochi ed ultimi romantici del pensiero, sta scivolando velocemente verso la più totale spersonalizzazione degli individui per consentire alla massa informe dei vari popoli di uniformarsi in un’unica e drammatica direttiva: avere. Prendendo spunto da un noto aforisma di Oscar Wilde che, non prevedendo le conseguenze dell’utilizzo improprio del suo pensiero, disse: “Nulla è più necessario del superfluo”, oggi siamo tutti in balia di un mostro pubblicitario e sadico che ci impone violentemente i suoi usi e costumi. Eppure, nonostante l’evidenza, pochi sanno riconoscere il problema come tale, anche perché ormai i nostri egoistici bisogni hanno decisamente preso il sopravvento sulla nostra capacità di riflettere. ‘Essere’ in quanto tale ha perso tutto il suo interesse originario, giacché il benessere del singolo è sempre più subordinato alle sue proprietà. Trascurabili e condizionati ogni virtù e pregio, se non sponsorizzati e accompagnati con l’ostentazione dei propri averi, ognuno tenta e spera di ottenere il massimo sfruttando al meglio ogni opportunità per la pochezza fatua e fugace di potersi godere un effimero guadagno.
E poco importa se non siamo amati e se la solitudine è diventata la peggiore e più diffusa malattia che l’essere umano ha coscientemente provocato. Possiamo anche fare a meno della nostra famiglia, dei nostri amici, della nostra e altrui solidarietà, se nel contempo si è accresciuto il lezzo pestilenziale del nostro conto in banca. E a nulla valgono gli innumerevoli e scontati alibi che ci costruiamo svuotandoci, di volta in volta, di ogni responsabilità, chiamando in causa ogni fragile influenza mediatica responsabile presunta della nostra corruzione. Tutto sembra ridursi in un semplice e drammatico paradosso della realtà: “eravamo ciò che ci hanno dato, siamo ciò che abbiamo e saremo quello che lasceremo in eredità”: ovunque dirigiamo il nostro pensiero, inevitabilmente ci troviamo a doverci confrontare con le sempre più pressanti esigenze della società che contestiamo e che stiamo contribuendo a costruire. Mattone su mattone, denaro su denaro, uomo su uomo, morti su morti, siamo responsabili della pesantezza del fardello consumistico che portiamo sempre più volentieri sulle nostre spalle e che continuerà, purtroppo per molto tempo ancora, a schiacciarci e a ridurci in consapevoli animali divoratori di se stessi. E come se questo non bastasse, ognuno di noi sta alacremente lavorando sulla propria coscienza affinché non si accorga dell’urgenza del problema, ed anzi sta giustificando e incoraggiando l’utilizzo di ogni mezzo possibile per sbranarci e consentirci di avere di più. Malgrado ciò abbiamo tutto e nulla ci manca in apparenza, ma il malessere che si sta impossessando prepotentemente della nostra cagionevole vita ancora non ci stimola a cambiare volontariamente la direttiva principale dei nostri sempre più scarsi e validi interessi. Ogni problema dell’uomo moderno riguarda i suoi averi e forse, quando si sarà stancato di essere ciò che ha, un giorno si riapproprierà della sua esistenza e sarà sereno e soddisfatto di quello che è. E un giorno, forse, gli annunci cambieranno: “AAA. Cercasi uomo”.

Maurizio Mura

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